Sinergie tra l’avvocato e il consulente tecnico di parte
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Articolo del dott.Fabio Marcheselli relativo alle sinergie tra l’avvocato e il consulente tecnico di parte.
Spesso si crede che l’esito di una consulenza tecnica di parte rappresenti solo allegazione difensiva e invece, qualora contenga osservazioni attendibili e precise, può assumere notevole rilevanza rispetto all’esito della causa.
Giurisprudenza, infatti, afferma che “quando i rilievi contenuti nella CTP siano precisi e circostanziali, tali da portare a conclusioni diverse da quelle contenute nella CTU ed adottate in sentenza, ove il giudice trascuri di esaminarle analiticamente ricorre il vizio di insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia” (Cass. 10.01.1995, nr. 245).
Il contraddittorio tecnico-scientifico è per le parti, in sede istruttoria e in dialettica con il perito o consulente d’ufficio, partecipazione effettiva e concreta alla formazione della prova scientifica mediante i propri consulenti di parte.
Pertanto, il contributo della consulenza tecnica di parte, non rappresenta soltanto un supporto alla tesi difensiva o accusatoria, ma assume valenza cognitivo funzionale, imprescindibile alla ricostruzione della fattispecie concreta oggetto del processo.
La realizzazione del principio iudex peritus peritorum necessita, dunque, di un consulente tecnico di parte professionalmente capace e preparato al fine di garantire un valido contributo alla esplicazione del principio del contraddittorio (uno dei principi costituzionali fondamentali) e alla formazione del convincimento tecnico del giudice perché, come insegna la dottrina processualistica, “le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio sono seguite dal giudice non per obbligo giuridico, ma solo se il giudice le ritiene convincenti. Se al giudice si portano argomenti sufficienti per convincerlo dell’erroneità delle conclusioni del c.t.u., il giudice non solo può, ma deve disattendere le risultanze del consulente tecnico che egli ha nominato”.
Su tali premesse s'innestano ulteriori considerazioni circa le opportunità lavorative del professionista che intende sviluppare anche l'ambito giuridico. Oltre al consulente tecnico di parte, infatti, nel più ampio prisma del contesto sinergico, l’esperto clinico forense può offrire attività di ausilio come supporto all'avvocato, mettendo a disposizione la propria conoscenza scientifica.
In particolare, attraverso una partecipazione meno formale (cioè senza la nomina in qualità di CTP), può redigere considerazioni tecnico-scientifiche per pervenire, nell’interesse del minore, alla nomina di un Consulente Tecnico di Ufficio che possa operare una valutazione, nel rispetto del diritto di contradditorio per entrambi i genitori, relativa alle competenze genitoriali, a una idonea collocazione del minore e al regime di affidamento nel contesto civile. Non è raro, infatti, che l’astio provato nei riguardi dell’ex coniuge si riverberi negativamente sul rapporto genitore-figlio, attraverso l’attivazione di atteggiamenti che di fatto creano pregiudizio al minore, minando le basi di una crescita e sviluppo che dovrebbero essere equilibrati e sereni.
Tramite la L. 54/2006 ogni genitore può in qualsiasi momento sollevare dubbi rispetto all’affido condiviso quando esistano dei presupposti in contrasto con l’interesse del minore e attraverso la tutela del proprio legale può affidarsi all’esperto clinico forense per la stesura di un’istanza indirizzata al giudice, che permetta di ottenere una CTU per valutare le rispettive competenze genitoriali.
Oppure, sempre in situazione extraperitale, può redigere una relazione specialistica nell’interesse di una persona, col fine di esaminarne le condizioni psichiche e valutare la presenza di esiti di natura psicopatologica correlabili a un evento patito (danno biologico di tipo psichico).
L’impulso del professionista che collabora a fianco del legale, può permettere una quantificazione del danno anche senza giungere alla CTU, qualora gli eventi risultino chiari e circostanziati e qualora si sia verificata una alterazione dell’integrità psichica che si traduce in un’evidenza diagnosticabile. In tal caso, in ottica strategica, alla parte che ha cagionato il danno, può convenire non affrontare un contenzioso ma risolvere mediante un risarcimento in sede stragiudiziale sulla scorta della valutazione clinico forense sviluppata dallo specialista attoreo trovando una soluzione conciliativa che consideri le aspettative della vittima.
Analogamente, anche nel contesto penale, il difensore può avvalersi dell’ausilio tecnico scientifico di un professionista all’interno di un accertamento peritale mediante la nomina di un esperto clinico forense in qualità di Consulente Tecnico di Parte nell’ambito del processo. In particolare, nei casi di valutazione del reo circa la sua capacità di intendere e volere legata ai fatti per cui si procede, oppure nei procedimenti di presunto abuso sessuale in danno di minori.
Allo stesso modo, il legale può avvalersi di un esperto per la stesura di una relazione tecnico scientifica in merito all’analisi di materiale audio-video relativo all’audizione di un minore, concretizzando di fatto il riconoscimento di eventuali errori legati alla conduzione dell’intervista (presenza di eventuali domande suggestive o che diano per scontata la sussistenza di fatto oggetto di indagine, presenza di induzioni esterne a riferire, ecc.).
In sede extra processuale l’intervento dell’esperto clinico forense si può sviluppare attraverso una collaborazione derivante dalla possibilità per il difensore di condurre indagini difensive e la relativa facoltà di assumere testimonianze, come previsto dagli artt. 391 bis del c.p.p. e dalla legge 397/2000 le cui disposizioni integrano la disciplina delle investigazioni difensive.
Ulteriore contesto applicativo nel quale la sinergia tra legali e professionisti della salute mentale si può concretizzare, è rappresentato dal supporto alla vittima. Infatti, un intervento tempestivo e mirato del clinico, può facilitare il superamento del trauma vissuto e acuire la tutela dell’assistito.
Conclusioni
Come si è visto, anche se gli ambiti applicativi di collaborazione tra il clinico forense e l’avvocato risiedono sia nel contesto penale, sia in quello civile, spesso anche in attività extra processuali, purtroppo attualmente vige una relazione unilaterale tra il legale e il professionista esperto. In particolare, è l’avvocato che, a seguito di una valutazione professionale decide, dopo essersi consultato con il cliente, se avvalersi dello specialista clinico forense.
Nel diritto anglosassone (common law), invece, la collaborazione tra legali e clinici esprime una realtà consolidata, soprattutto nelle selezioni delle giurie popolari. Poiché la composizione delle giurie deve rispettare i criteri di rappresentatività mediante la selezione di un campione sociale che garantisca l’eterogeneità dell’appartenenza etnica, del genere, dell’età, del gruppo sociale e dell’istruzione, la selezione dei giurati è curata dall’accusa e dalla difesa, attraverso il ricorso a team di consulenza al fine di valutare l’esistenza di convinzioni o pregiudizi che possano far virare il giudizio finale verso l’assoluzione o la colpevolezza.
Vero è che, se nel nostro ordinamento non è previsto il ricorso e l’applicazione delle scienze umane al diritto in termini di selezione delle giurie, lasciando di fatto, la creazione di realtà professionali attinenti a differenti discipline che cooperano nel quotidiano, a sporadiche e residuali iniziative, con il presente contributo si è inteso valorizzare la potenziale sinergia tra avvocati e clinici forensi non ancora pienamente espressa mediante collaborazioni e percorsi interconnessi intesi ad affinare le strategie difensive.
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Articolo scritto dal Dott. Fabio Marcheselli
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