La prima impressione influenza la comunicazione
In una società come quella attuale che si basa sullo scambio di informazioni è importante conoscere e capire come avviene la comunicazione.
Il concetto di comunicazione ci riguarda tutti da vicino poiché ognuno di noi comunica continuamente e quotidianamente, ma quale è la persona con la quale comunichiamo più di frequente, tutti i gironi, per tutta la nostra vita?
La risposta la conosciamo: Noi stessi!
La comunicazione intrapsichica non può essere sottovalutata e al pari di quella interpersonale ha una importantissima regola: Il come si dice una determinata cosa è più importante del Cosa si dice.
Se per ipotesi, mettiamo sui piatti di una bilancia due pesi: il primo rappresentato dal “cosa” dico (contenuto del linguaggio) e il secondo dal “come” lo dico (toni della voce e comunicazione non verbale), il secondo piatto peserà tredici volte più del primo (93% contro il 7% delle parole).
Valutazioni simili sono state effettuate negli anni ’60 in America da Albert Mehrabian, che osservò come in una normale comunicazione la corretta ricezione del messaggio sia data solamente per il 7% dalle parole, mentre il 38% è rappresentato dai toni della voce e il 55% dal linguaggio non verbale. Pensiamo per un attimo a qualcuno che abbiamo conosciuto nel passato e anche se non sapevamo nulla di lui, abbiamo detto: “non lo conosco, però mi è simpatico, è come se lo conoscessi da sempre”.
LA PRIMA IMPRESSIONE
Viene dunque da pensare: “la prima impressione può influenzare una comunicazione?”
Certo che si!
Quando conosciamo qualcuno, ci facciamo un’idea su che tipo sia, in genere, questa prima impressione si mostra molto tenace alle disconferme. L’abito non fa il monaco, però influenza la prima impressione, quindi se vogliamo dare un seguito ad un nostro primo incontro, con una ragazza, con un datore di lavoro, ecc. occorre prestare particolare attenzione ad ogni dettaglio. Un importante assioma nella comunicazione dice: “Non hai mai una seconda occasione, per dare una buona prima impressione”. Possiamo quindi dire che una nostra immagine inizia ad aleggiare nella mente del nostro interlocutore ancor prima che parliamo, perché, anche se inconsapevolmente, una prima impressione positiva o negativa ci ha già presentati.
Al contrario di ciò che riteniamo politicamente corretto credere, diventa chiaro a questo punto che, quando incontriamo qualcuno per la prima volta, lo giudichiamo subito o sotto il profilo della cordialità/indifferenza o sotto quello della simpatia/antipatia, o addirittura come potenziale partner sessuale.
Immaginiamo di avere un’azienda, i nostri clienti potrebbero associare da subito l’immagine di questa dalla voce che li accoglie al telefono. Aiutare la nostra azienda a presentare il giusto “biglietto da visita”, potenziando le capacità di gestione della reception e del centralino, potrebbe allora essere una scelta strategica, un vero salto di qualità per chi opera a diretto contatto con il pubblico.
Allo stesso modo, nel curriculum vitae possiamo scrivere quante informazioni vogliamo, ma passeranno tutte in secondo piano rispetto a ciò che il datore ricorda nella prima impressione che si è fatto del candidato.
IL NOSTRO CERVELLO… AVVERA LE PROFEZIE?
Siamo noi stessi che ci diamo dei limiti e paradossalmente con le nostre credenze limitiamo anche gli altri: infatti, molte volte non riusciamo a fare le cose semplicemente perché immaginiamo di non farcela ancora prima di provare, molto spesso per paura di sbagliare e più abbiamo questo timore e più è probabile che avvenga quanto temiamo.
Tutto questo si verifica perché al nostro cervello non piace contraddirsi o ritrattare una realtà ormai assodata, piuttosto gli piace sentirsi dire: "lo sapevo, è come dicevo io” e ancora una volta si avvera la profezia che conferma di nuovo le nostre sensazioni iniziali. In questi frangenti diventa determinante cambiare l’atteggiamento mentale, mettersi in discussione e ampliare le nostre vedute. Cambiare idea “costa fatica” perché molto spesso un nostro punto di vista è legato ad una credenza che, se messa in discussione, può voler dire intaccare un aspetto della nostra identità.
Se ci convinciamo di essere dei buoni comunicatori, il cervello andrà ad evidenziare tutti quei comportamenti che confermano la nostra credenza, dando poca rilevanza al resto. Al contrario, se non siamo convinti di noi stessi, anche di fronte a tanti piccoli successi, il nostro cervello si focalizzerà solo sugli errori.
Quali immagini hanno nella loro mente le persone che hanno paura di parlare in pubblico? Il più delle volte è dimostrato che queste persone prima di iniziare un discorso, si ripetono mentalmente frasi tipo: “non mi devo emozionare”, “non devo andare nel pallone”, “stavolta non mi devo bloccare”, “stavolta non voglio fare una brutta figura”. Le intenzioni sono buone, ci si concentra infatti per fare un buon discorso, ma la mente viene condizionata negativamente – e cosa succede al momento di parlare in pubblico? Si realizzerà quello che la mente ha fino a quel momento vissuto, il cervello ha immaginato più di una volta la scena negativa e quella andrà ad eseguire.
COSA SI POTREBBE FARE PER SBLOCCARE QUESTA FORMA MENTIS NEGATIVA?
La stessa persona che ha paura di parlare in pubblico può dirsi: “stavolta voglio stare tranquillo, fare un bel discorso come se fossi tra amici, mi voglio divertire…”. In questo caso il condizionamento è in positivo, il contenuto del messaggio è lo stesso, ma l’informazione che riceve il nostro cervello è totalmente diversa.
Certo questo non implica il fatto che la persona parli in pubblico in modo perfettamente tranquillo, ma aumenterà le probabilità che ciò accada, perché il cervello ama ripetere quello che già conosce per economizzare il suo lavoro: se la mente ha già visto più volte quell’immagine, tenderà a replicarla. Le immagini sono il linguaggio della nostra mente, da sole possono aumentare o diminuire le nostre emozioni, basti pensare a quali sentimenti suscitano in noi frasi che contengono immagini del tipo: “Mi sento come se mi fosse passato sopra un Tir“, oppure “Sono distrutto“, “Mi va alla grande“, ecc.
Il nostro cervello si nutre di immagini, e sono queste che condizioneranno il nostro atteggiamento mentale. Non è un caso che l’ingrediente di base d’ogni buon venditore sia l’entusiasmo, ossia l’atteggiamento con il quale viene proposta un’idea, un prodotto o un servizio. La forma mentis del venditore è lo strumento di vendita per eccellenza; non è il prezzo del prodotto che determina l’acquisto, né la sua utilità, ma è l’entusiasmo che il venditore riesce a mettere nella vendita che trasformerà molto spesso quel prodotto in vendita.
L’entusiasmo con cui comunichiamo le nostre idee determina i nostri risultati, coinvolge l’interlocutore, lo porta a vedere attraverso i nostri occhi la prospettiva di un futuro nuovo ed eccitante. A questo punto appare evidente che la comunicazione sia una carta fondamentale nel gioco della vita e la si può apprendere, al pari di ogni altra capacità.
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